Secondo l’accusa del pm Valeria Ardito, nell’indagine condotta dall’Ispettorato Centrale Repressione Frodi Nord Est insieme ai Carabinieri del nucleo tutela agroalimentare di Parma, la Top Agri di Roverchiara presieduta da Marzio Soave avrebbe commercializzato grano, lino, farro e soia con il marchio “biologico” quando in realtà si sarebbe trattato di prodotti ottenuti tramite il metodo di coltivazione convenzionale, con tanto di impiego di fitofarmaci. – Questo, quanto riportato sul Corriere.
Nei guai, con l’accusa di aver fornito proprio i fertilizzanti, è finito anche il gruppo Manara di Oppeano e ieri, davanti al giudice Luciano Gorra, sono scattati i primi 6 patteggiamenti.

Alla prossima udienza concorderà la pena con la Procura lo stesso Soave, mentre ieri lo hanno fatto Fabio Manara (10 mesi di reclusione), Luciano Manara (5 mesi e 16 giorni), Andrea Veronese (un anno e due mesi), Silvia Pettenella ed Elia Zeminiani (un anno e 8 mesi ciascuno), Andrea Cecchetto (un anno e 4 mesi). Per tutti la pena è sospesa.
Per l’accusa, i 14 indagati avrebbero agito in concorso con un rigore quasi scientifico, tanto che il prodotto finito a una prima analisi era in grado di risultare formalmente “bio”.
E questo perché, stando agli inquirenti, l’organizzazione era in grado di pianificare persino la semina delle varie colture per fare in modo che le tracce di fertilizzanti e fitofarmaci svanissero nel nulla.
Frode in commercio l’accusa per cui due anni fa il gip Ferraro dispose gli arresti oltre che per Soave, anche per Pettenella, impiegata e persona di fiducia di Soave, per il marito Veronese che si occupava delle pratiche relative alla conduzione dei terreni (dalla semina alla trebbiatura) e infine per Zeminiani, responsabile della qualità nella Top Agri Spa.
Per il pm, una maxi frode da almeno tre milioni di euro.

Foto: a sinistra in alto, il giudice Luciano Gorra; in basso, la sede di Top Agri Spa a Roverchiara; a destra, il nucleo investigativo dei Carabinieri che ha condotto le indagini.