Amico lettore, feisbuk lo scrivo come si pronuncia, perché l’inglese è una lingua strana: scrivi una cosa e ne pronunci un’altra. E per questo non mi piace: è lingua illogica, bugiarda, infida: ti costringe a gorgoglìi bestiali e fantozziani, a sospirosi contorcimenti di bocca e di gola, a suoni innaturali e artificiosi.

Ma se non la conosci sei morto: prova ad andare in un aeroporto e ad acchiappare un volo: se non leggi e non capisci l’inglese invece che sull’aereo ti puoi ritrovare su una sgangherata corriera tra le paludi del Brusà o le risaie della Pellegrina.
No, l’inglese non è una lingua logica e nostra, ma nordica e barbarica: esangue e tisicuzza manca del sole mediterraneo e del canto melodioso latino, ma lasciamo perdere sto’ discorso.

Comunque, vuoi mettere il nostro dialetto? Terragno, vigoroso, leale, immediato e vitale: se vuoi offendere basta un “tessi un musso” e hai detto tutto. Se uno è un disgraziato l’è un porocàn, se innamorato, lui o lei sgnaolando el va come ‘na gata e se è vecchio l’è carolà dai ani e bigoli, fasòi, loroto, piron, luàme smalta, pissaroto, brusaoci, maridaròla, giarin, sfrondòn, sfranfugnon, sfregolar, sfolesar, sganassar…

Senti, amico lettore, che suoni gonfi, robusti, pieni d’aria e di umanità carnale e appassionata? Ricordi le carezze e la voce di chi ci strinse bambini tra le sue braccia? E le fole paurose e straordinarie della nonna avvolta nelle sdinze del camino? Prova tu a ricordare e confessare quelle emozioni in un’altra lingua che non sia il dialetto!

Infatti quando il Governo (che è sempre un po’, e solo un po’, ladro) vuole fregarti, sta’ sicuro che ricorre ad un termine inglese.
Ma ritorniamo a feisbuk. Tu certamente sai, o forse non sai, ma puoi vivere lo stesso o forse meglio, che cos’è feisbuk.
È, te lo spiego da imbranato, un’applicazione nel tuo telefonino, ideata da un’azienda americana nel 2004, un servizio di rete sociale dove le persone che si iscrivono possono dialogare tra loro, caricare e condividere foto, farsi nuovi amici o ritrovarne di antichi, ormai dispersi nel tempo. Ci si iscrive con nome e cognome, si inserisce una foto e, alé, scatta una rete di amici, o di amici degli amici: puoi dialogare con loro, conoscere quello che stanno facendo, commentare, condividere, litigare, insultare, amare, odiare, arrabbiarti, piangere, ridere, organizzare eventi, notiicare tutto ciò che vuoi: nascite, morti, nozze, separazioni, divorzi, lavoro, prima comunione, fidanzamenti, compleanni, vacanze, crociere, sport, cucina, poesia…
Lì dentro puoi mettere, spostare, incollare tutto: verità e finzione, soprattutto dire quello che magari non diresti mai a quattr’occhi a una persona, svelarti o rimanere anonimo, essere tenero o volgare, romantico o brutale, insultare o dichiararti entusiasta ed ammirato, soprattutto puoi dare libero sfogo ad allegrie, malumori, rabbie, delusioni.
Insomma, come dice uno spiritoso nella sua pagina: «Prima di feisbuk se podeva solo imaginar quanti mona ghe xé in giro pel mondo. Grazie feisbuk: ogi savemo nome e cognome».

Ce l’hai con Renzi, Gentiloni, la Raggi, Trump, la Merkel, il Papa, i politici, i partiti, il Comune, la Regione, la scuola, i preti, i frati, le monache, gli arabi, gli ebrei, i marocchini, i cinesi, i rom, gli ospedali, le multe, i carabinieri…?
Feisbuk è per te, c’è posto anche per i tuoi livori, accuse, sfoghi, desolanti rassegnazioni, divertite e amare invenzioni: «Torino: liberato in ospedale l’uomo rimasto con la mano incollata al tavolo». «Roma: ancora nessuna notizia sul migliaio di persone rimaste con il c… incollato alle loro sedie».
E un altro posta una foto di potenti seduti in mangiatoia ad un lunghissimo tavolo colmo di ogni bendidio e commenta: «Ecco come i nostri politici discutono di crisi: pranzo extralusso, cristalli vin pregiati, servizio 5 stelle, un cameriere per ciascuno, nemmeno il disturbo di versare da bere. Vergogna! E noi paghiamo!».
O, sarcastico, c’è chi si annota: «Trovato morto il conte Dracula: era venuto in Italia a succhiare il sangue degli italiani. Ma è morto di fame e di sete».

Naturalmente abbondano paure e catastroiche previsioni per l’invasione di emigranti, recriminazioni per quanto ci costano, per l’insensata e suicida politica italiana aperta all’accoglienza: a questo proposito potrei, amico lettore, riportare palate di indignazione e rabbia italica ma preferisco il sorriso malizioso di chi annota: «Grazie cari immigrati per essere venuti in Italia a prendervi tutte le colpe che una volta erano di noi terroni».

Genialità e stupidità si alternano su feisbuk, condivisioni sincere e profonde di lutti personali o comuni, ma anche cialtroneria a non finire e soprattutto la forsennata voglia di dire al mondo: ci sono anch’io, guardatemi, ascoltatemi, ammirate come mi arrampico sulle vette, come nuoto in mari immacolati, come mangio, mi vesto, mi diverto sulla neve, sulla sabbia, sulla barca, come stringo e abbraccio donne e potenti, ho figli splendidi, amori ininiti, ricordi teneri di nonni, di papà e di mamme, come eravamo bellini nei grembiulini delle elementari, che poeta che sono, pseudo profughi indietro tutta, a tutte le donne non arrendetevi…
Ah la cellularite, la fleisbukite, l’ebetite acuta dei nostri anni!

[Dante Clementi]

Questo racconto è stato pubblicato su Il Nuovo Giornale il 13 aprile 2017, ma sembra scritto ieri.